Woodgas

Idrogeno e decarbonizzazione, la risposta viene dalla pirolisi

La pirolisi può essere di grande aiuto nella decarbonizzazione del pianeta, ovvero della riduzione di uno dei gas serra più abbondanti, la CO2 o anidride carbonica.

Nel processo a volte chiamato pirolisi (ma anche gassificazione) viene prodotto un gas che contiene fino al 25% di idrogeno.

Gli inglesi usano il termine “woodgas”, letteralmente “gas di legno” per descrivere esaurientemente il prodotto della pirolisi.

Fiamma di gas prodotto da ramaglie col sistema della pirolisi
si può notare la colorazione blu intenso della fiamma, sinonimo di pulizia e di presenza di idrogeno

Foto reale del “gas di legno” prodotto con ramaglia dal nosto impianto

La pirolisi ovvero processo di decomposizione termica delle materie organiche, ha come naturale sottoprodotto il carbone vegetale, il cosiddetto biochar.

Questo carbonio ottenuto durante la pirolisi faceva parte della molecola di CO2 catturata dalla foglia mediante la fotosintesi clorofilliana, ovvero il sistema che usano le piante per accrescersi.

Il carbonio, una volta separato dell’ossigeno e lasciato in ambiente alle normali temperature, non si ricombinerà mai più con l’ossigeno in quanto il legame può avvenire solo a temperature molto alte;

Un pallone pressostatico che contiene il gas combustibile di un biodigestore
I biodigestori sono impianti a impatto zero per quanto riguarda i livelli di emissione di C02; la loro vera pecca è il loro costo di gestione

invece i prodotti vegetali usati per l’alimentazione umana o animale o nei biodigestori (sempre per produrre gas combustibile) ritornano in breve a ricombinarsi come CO2 grazie ai processi di fermentazione batterica

Ora andiamo a vedere cosa succede a livello chimico nella materia organica che viene sottoposta al processo di pirolisi.

Il processo avviene mediante parziale ossidazione a media temperatura (500°/600°) di materie organiche vegetali. Quindi in presenza di temperature adatte e in scarsità di ossigeno (altrimenti torna tutto in CO2) si ottiene il “gas di legna”; ma da dove viene questo gas?

La materia vegetale si ottiene in natura per fotosintesi clorofilliana mediante accumulo di energie del sole.

Il calcolo è molto semplice: da 6 molecole di CO2 (anidride carbonica dell’aria), 6 di H2O (acqua assorbita dal terreno) e grazie all’ energia ricevuta dal sole (686 Kcal/mole) si producono le piante.

Esse sono composte di radici, tronco, rami e foglie, ma anche fiori e frutti e sono chimicamente rappresentati con la formula classica della molecola organica composta da 6 atomi di carbonio, 12 di idrogeno, 6 di ossigeno.

Tale trasformazione avviene solo di giorno alla luce del sole e nella sua durata la pianta rilascia in atmosfera 6 molecole di ossigeno (O2) come “sottoprodotto”.

La pirolisi esegue il processo opposto. La parte solida ritorna in forma gassosa e l’ energia liberata in parte viene utilizzata nel processo e in parte (il 70% circa) rimane contenuta nel gas combustibile prodotto, ricco di idrogeno, appunto circa il 25%.

L’energia ottenuta nel processo e contenuta nel gas di pirolosi è la stessa catturata dalla pianta dal sole al momento della fotosintesi clorofilliana.

Secondo le stime, la fotosintesi fissa nelle piante una quantità di energia presa dal sole pari a circa 10 volte i consumi mondiali annui di energia di ogni tipo.

La pirolisi ovvero processo di decomposizione termica delle materie organiche, è un processo che ha un elevato tasso di decarbonizzazione: il naturale sottoprodotto del gas combustibile da pirolisi è il carbone vegetale, il cosiddetto biochar.

Ora andiamo a vedere cosa succede a livello chimico al carbonio contenuto nella materia organica sottoposta al suddetto processo.

Il carbonio ottenuto durante la pirolisi faceva parte della molecola di CO2 catturata dalla foglia mediante la fotosintesi.

I sottoprodotti principali della pirolisi sono le ceneri e il biochar; quest’ ultimo è composto di carbonio in forma molto pura.

Durante il processo la CO2 assorbita a suo tempo dalla pianta torna in parte in atmosfera. Questa frazione è nferiore a quella sottratta all’atmosfera stessa durante l’accrescimento della pianta in quanto una parte del carbonio della CO2 assorbita è rimasta nel biochar. Il biochar non ritornerà mai più in atmosfera come composto della CO2.

Una volta utilizzato ad esempio nel terreno per usi agricoli il carbonio si può legare nuovamente con l’ossigeno solo se sottoposto a temperature alte, superiori a quelle della pirolisi.

Esso non si ricombinerà mai più con l’ossigeno come invece succede ai prodotti vegetali ad esempio usati per l’alimentazione umana o animale o nei biodigestori senza un passaggio ad alta temperatura.

 

Parliamo ora delle ceneri.

Durante il suo accrescimento la pianta assorbe selettivamente dal terreno i sali minerali che le servono per le reazioni chimiche della fotosintesi e altre sostanze (tipo il silicio) che le servono per l’irrobustimento del fusto; quindi non ci sono altre sostanze eventualmente presenti nel terreno se non quelle utili alla pianta.

L’assorbimento è selettivo: se nel terreno sono presenti sostanze che alle piante non servono esse non vengono assorbite. Mi riferisco ad eventuali inquinanti presenti nel terreno che quindi ivi rimangono.

Dopo la pirolisi le sostanze assorbite dal suolo dalla pianta si ritrovano nelle ceneri.

Esse sono quindi il residuo della parte della pianta che durante la pirolisi non si lega con l’ossigeno o non si trasforma in gas combustibile ma rimane in forma solida.

Oggi le ceneri di origine vegetale possono essere utilizzate anche in agricoltura biologica in quanto ricostituiscono nel terreno il substrato di sali minerali assorbito in precedenza dalla pianta durante il suo accrescimento.

Ecco descritto il ciclo del legno o delle altre materie organiche: quando si sottopone la materia vegetale alla pirolisi si ottiene un gas ad alto contenuto di idrogeno, utilizzabile in maniera efficiente per produrre energia elettrica, e come risultato collaterale si riduce la CO2 dell’ atmosfera, anche per l’ effetto di sostituzione di altri combustibili fossili.

Il processo può essere applicato a qualsiasi materia di natura organica, anche animale, come ad esempio i grassi.

La produzione industriale di idrogeno è un processo in deficit energetico e carbon-positive, cioè in eccesso di produzione di CO2. Esso, prodotto con i sistemi attuali (elettrolisi o altri metodi di sintesi chimica), viene ottenuto mediante un processo derivante dal mix di energia di fonte fossile e rinnovabile utilizzato nell’ industria.

Sappiamo che essa viene generata per la maggior parte da fonti fossili, compreso il gas metano, pure di origine fossile. Esso viene anche utilizzato direttamente mediante steam-reforming come produttore di idrogeno.

Nonostante abbia una combustione pulita, esso è un gas altamente carbon-positive, cioè dalla sua combustione si ottiene la CO2: 1 molecola di metano ed 2 di ossigeno generano 1 molecola di CO2 + 2 di acqua ed energia termica. Durante lo “steam reforming” invece dell’acqua si ottiene idrogeno, ma viene prodotta CO2, stoccata per usi futuri o immessa direttamente in atmosfera.

Assurdamente, durante l’ elettrolisi si utilizza energia elettrica prodotta dal metano la cui molecola ha 4 atomi di idrogeno (CH4), per produrre idrogeno (H2): si usa il metano nelle turbogas per produrre l’energia elettrica, poi l’energia elettrica viene usata nell’elettrolisi per rompere la molecola che contiene l’idrogeno, per esempio l’acqua.

Bombola di gas Idrogeno compresso a 200 Bar per lo stoccaggio e il trasporto

Chiunque abbia dimestichezza con le trasformazioni che avvengono durante i processi chimico industriali si rende condo delle perdite che tali trasformazioni comportano.

Va poi aggiunta la difficoltà (oltre che la pericolosità ) del suo stoccaggio a 200 bar per mantenerlo in forma liquida, che necessita di ulteriore consumo di energia.

L’ interesse per questo gas prodotto con gli attuali sistemi per risolvere i temi ambientali è veramente scarso; le cose cambiano invece in maniera sostanziale se lo ottenessimo mediante la pirolisi.

Infatti, dopo l’ utilizzo dei gas di pirolisi in gruppi co-tri generativi per la produzione di energia elettrica (termica, refrigerativa o direttamente nei processi industriali), oltre ad avere sottratto anidride carbonica all’ atmosfera, immetteremo in aria solamente vapore acqueo e una frazione di CO2, inferiore a quella inizialmente sottratta dalla pianta all’ aria durante accrescersi.

Per tanto carbonio che avremo sottratto reimmetteremo ossigeno in atmosfera.

Oggi la pirolisi non è molto apprezzata nel mondo ambientalista, ed è difficile cambiare le opinioni quando sono molto radicate. le parole che più spaventano sono “bruciare”, “incenerire” e purtroppo la mancata conoscenza dei processi chimico fisici alimenta falsi miti.

Invece questa tecnologia andrebbe molto sviluppata in quanto consente addirittura di migliorare le condizioni ambientali a cui ci ha condotto un troppo elevato sfruttamento delle fonti fossili.

Dalla pirolisi si ottiene in cambio tanto beneficio, e nessun sottoprodotto dannoso all’ambiente: elettricità, biochar e ceneri per l’agricoltura, minore CO2 di quella prodotta. Come sempre però non possiamo prescindere dal gestire questi processi con impiantistica di alto livello di sicurezza verso l’uomo e l’ambiete che lo circonda e alto grado di automazione.

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